Il Roero Docg protagonista a Torino con Onav e Vinibuoni d’Italia

Martedì 21 febbraio alle ore 21 si rinnova l’appuntamento della Guida Vinibuoni d’Italia con l’Onav di Torino. Lo scorso anno protagonista fu la Barbera d’Asti, quest’anno sarà il Roero Docg, il rosso a cui i produttori del territorio dedicano applicazione e ricerca. Infatti sebbene rappresenti il rampollo più giovane della famiglia dei Nebbioli, il Roero Docg è assurto all’attenzione dei mercati e dei wine lovers per la sua fresca e generosa fragranza, capace di coniugare nel bicchiere complessità e finezza composte su un bouquet fruttato che esprime le caratteristiche del territorio e delle colline argillose.

In degustazione saranno le annate 2003, 2009, 2011, 2013 del Roero Docg Sudisfà dell’azienda Angelo Negro di Monteu Roero. Ad introdurre i lavori Mario Busso curatore nazionale della Guida e Piera Genta responsabile regionale dell’Onav. I vini saranno introdotti e spiegati dal produttore.

I vini al banco di assaggio saranno abbinati ad alcune chicche tipiche dell’arte norcina italiana proposte dal Salumificio Levoni.

Luogo dell’evento: Hotel Diplomatic - Via Cernaia 42 - 10122 Torino

Il contributo di partecipazione è fissato in €15,00 per i soci Onav ed €25,00 per i non soci, che potranno iscriversi direttamente alla reception dell’Hotel Hilton, oppure visitando il sito ONAV nella sezione eventi: onav
L’evento infatti è aperto a tutti.

Fish and Chips Padano

INGREDIENTI
Per il pesce:
300 g di filetti di pesce persico lacustre (in alternativa merluzzo di piccole dimensioni); 100 g di farina di riso; 1 tuorlo d’uovo; 2 dl di latte;1 cucchiaino da caffè di bicarbonato di sodio; 1 l di olio di semi di girasole; sale e pepe.
Per le crocchette di patate:
500 g di patate gialle; 1 dl di latte; 3 uova; 50 g di farina di riso; 200 g di Grana Padano oltre 16 mesi; 50 g di burro; sale e noce moscata.
Per la crema di piselli: 200 g di piselli; 4 foglie di menta fresca; 1 spicchio d’aglio; 1 scalogno; 1 dl di olio EVO; 50 g di burro; 3 dl di acqua; sale e pepe.ù

Far bollire le patate in acqua salata con la buccia. A cottura ultimata pelarle, passarle al passaverdure e farle asciugare in forno a 100 °C per 10 minuti circa. Mantecare aggiungendo 1 uovo, il burro, il latte, sale, noce moscata e la metà del Grana Padano grattugiato. Il restante Grana Padano dovrà essere tagliato a pezzetti. Formare 20 sfere con la purea di patate ottenuta ed inserire al centro di ognuna un bocconcino di Grana Padano. Sbattere le 2 restanti uova, passare le sfere e infarinarle con la farina di riso. Friggere le crocchette in olio di semi di girasole fino a che diverranno dorate e croccanti. Lasciare in luogo caldo.

Preparare un soffritto con lo scalogno, l’olio e l’aglio; aggiungere i piselli, far rosolare e aggiungere l’acqua, la mentuccia, il sale ed il pepe. Cuocere per 10 minuti circa, togliere dal fuoco, frullare aggiungendo il burro a fiocchetti, passare allo chinois e lasciare in luogo caldo. Preparare una pastella mescolando farina di riso, tuorlo d’uovo, latte, bicarbonato, sale e pepe; far riposare al fresco per 20 minuti. Togliere la lisca ai filetti di persico, passarli nella pastella e friggere in olio di semi fino a che saranno gonfi e dorati, scolare ed asciugare su un panno di carta. Disporre su ogni piatto piano caldo 5 crocchette, appoggiare sopra i filetti di pesce; guarnire con la crema di piselli.

Vino Consigliato: Franciacorta Docg Brut Rosé
Fresco di rosa e glicine; sentori di mela verde e note di piccoli frutti rossi; gusto fresco e scattante; mineralità e freschezza offrono un matrimonio perfetto.

Valdobbiadene, la verticale che non ti aspetti

Spazzata via l’ossessione di inutili competizioni e imitazioni con altre tipologie di bolle, quel 15% di consumatori che si accultura sulle guide del vino, quei giornalisti e blogger ostinati nel loro ostracismo nei confronti del Prosecco, avrebbero da ricredersi se, nell’atmosfera rilassata della sala degustazione di Col Vetoraz, avessero potuto godere delle emozioni offerte da 11 annate che, a partire dal 2006, mi hanno accompagnato al calice dell’ultima vendemmia. La provocazione è di Loris Dell’Acqua che mi conferma come la verticale sia dedicata in prima assoluta a Vinibuoni d’Italia.

Le due declinazioni del Prosecco, il Brut e il Dry, degustati in successione a partire dal 2006, il 3 febbraio scorso, raccontano come questo vino, che il mito vuole immediato e giovane, abbia un carattere tutto da scoprire e del tutto sorprendente. La giornata piovosa invogliava alla riflessione, pur privandoci della bellezza di un panorama che conosco incantevole per le marcate onde dei vigneti incastrati sulle dorsali spesso a strabiombo delle colline. Un paesaggio che si sarebbe aperto dinnanzi a noi nel quadro delle ampie vetrate che incorniciano, dall’azienda, il Monte Cartizze. Invece la bruma mascherava il fondovalle, tant’è che i picchi più elevati sembravano isole abbozzate in un mare di nubi.

L’inizio è spiazzante. Il 2006 Brut ha colore dorato; i profumi di nocciola e frutta candita si affiancano ad una freschezza inaspettata; la bocca è opulenta e fragrante, con note minerali ancora marcate, un terziario integrato e una bolla tanto raffinata ed elegante, quanto intensa e vivace. Nonostante la sequenza della degustazione fosse appena iniziata, ho faticato a liberare la bocca dal bicchiere. Un’emozione unica, confortata anche dal coevo calice del Dry, in cui la gradevole evoluzione degli zuccheri ha permesso di contenere la nota ossidativa, portandoci ad apprezzare frutta candita, camomilla, pasticceria e rum, cucite su un abito raffinato.  

Loris non ha accompagnato la degustazione seguendo gli schemi canonici. Ha preferito che insieme alle note tecniche, fossero i vini a portarci verso una più fruttuosa chiacchierata che ha permesso di sviscerare al meglio la successione delle annate, parlando di clima, di territorio, di aspettative e di orizzonti della Docg.

Le sequenze successive all’esordio sono risultate una corrispondente espressione dello stile della casa, che partendo da selezioni rigorose, unica nel territorio, dedica tutto il suo impegno esclusivamente alla produzione di Valdobbiadene Docg. Un milione di bottiglie che, nelle vendemmie degustate, hanno raccontato abilità e sicurezza di stile, aderenza agli andamenti climatici che il metodo charmat non ha assolutamente cancellato. Per non tediare, raccolgo alcuni spunti memorabili. Il 2008 maturo, equilibrato, di amabilità quasi liquorosa, è risultato variegato e complesso, con nota di mandorla tostata finale; il 2010 più fresco e fragrante. Il 2013, che già si avvicina all’immediatezza della tipologia, proponeva sentori che risaltavano la freschezza tipica della mela verde, in un bouquet di fiori bianchi, e, specie sul Dry, anche una leggera nota di miele, offrendo al palato una percepibile buona sapidità…

Così di emozione in emozione, abbiamo dimenticato il tempo e dalle 9 del mattino siamo arrivati alle 14 lasciando ai vini la capacità di farci innamorare ancora una volta di storie e culture che ogni area vinicola italiana sa raccontare.

Sono certo di interpretare il pensiero dei miei coordinatori presenti, Annie Martin Stefanatto e Paolo Ianna, nel ringraziare Loris per averci permesso questa verticale; per averci regalato emozioni e la suggestione di una gradita scoperta. Una rinnovata conferma di come il vino, in particolare quello che nasce da vitigni autoctoni, sappia raccontare storie inedite, specie quando viene prodotto partendo da uve eccelse, da vigne adagiate su un territorio di elezione e di millesimi ogni anno diversi. Le tecniche di produzione e l’abilità del produttore non fanno altro che interpretare i doni della natura, portandoli, come nel nostro caso, a livelli di eccellenza.  

Mario Busso

 

CANTINA TERLAN: RARITA’ DI NOME E DI FATTO

Firenze, 30 gennaio 2017. Cantina Terlan chiama, Enoteca Pinchiorri risponde. Le danze si aprono nel tardo pomeriggio con una verticale delle uniche tre annate finora prodotte di A.A. Terlano I (Primo) Grande Cuvée. Trittico di scintillante consistenza per un bianco nato con la statura del vino destinato a sfidare il tempo.
Non c’è annata calda (come la 2011) che tenga di fronte alla capacità di tendersi come un arco per questa cuvèe di pinot bianco, chardonnay e sauvignon, mirabile fusione di frutto, spezie e sale. La 2012 si distingue per la cremosità del succo, tradotta in un sorso che privilegia l’ampiezza senza sacrificare energia e slancio.
Nella 2013, appena all’inizio di un viaggio che si misurerà in decenni, paiono fondersi le caratteristiche dei due millesimi precedenti con suggestioni ora iodate ora esotiche a rilasciare sapore incessantemente. Forse la più promettente in prospettiva. Difficile immaginare un’introduzione più felice al momento più atteso della serata, ovvero quello della “prima volta” di Terlaner 1991 Rarity. Una tiratura lillipuziana (3.340 bottiglie), anch’essa impostata sulla cuvée di pinot bianco, chardonnay e sauvignon, che vede la luce a distanza di venticinque anni dalla vendemmia, destinata ad essere contesa fra i trophy hunters di tutto il mondo.
Imperturbabile nella sua integrità costitutiva, si muove in piena souplesse senza il minimo cenno ossidativo. Discreto nell’esibire le sue forme armoniose e scultoree, poggia il suo fascino sulla continuità gustativa, sul dettaglio aromatico. Puro come una pietra preziosa che si lascia attraversare dalla luce e ne irradia il palato. Semplicemente sontuoso.
Ma le sorprese non sono finite. A tavola ci attendono Nova Domus e Pinot Bianco proposti in due mini verticali da quattro annate, abbinate in successione ad otto portate del menu degustazione di Casa Pinchiorri. Ognuno dei passaggi della cena meriterebbe un focus specifico. Sublime il primo atto (Bocconcini di San Pietro al nero di seppia, spinaci novelli, salsa bernese e gelatina di camomilla al limone abbinati all’A.A. Terlano Nova Domus Riserva 2013,) con la nota agrumata a stringere la santa alleanza tra piatto e bicchiere. Strepitosa la conclusione (Miele dall’alveare: mele golden, melassa e limone candito abbinato al Pinot Bianco 1959), flirt elettrizzante sul tema del dolce/non dolce. Alle corte. Un’esperienza unica per il panorama bianchista italiano.

Crema di riso allo zafferano e cardamomo, crocchette di ceci al Grana Padano e papavero

INGREDIENTI
Per la crema di riso:
300 g di riso Roma; 1,5 l di brodo di pollo ; 100 g di porri; 2 foglie di alloro; 1 g di zafferano; 2 g di cumino; 2 g di cardamomo; 80 g di croste di Grana Padano;1 mazzo di prezzemolo;1 peperoncino piccante; olio EVO; sale e pepe.
Per le crocchette:
300 g di ceci ammollati; 200 g di sedano; carote e cipolle; 1 foglia di alloro;50 g di cipollotti;
1 mazzetto di basilico;50 g di farina; 80 g di Grana Padano entro 16 mesi; 2 g di cumino in polvere; 1 uovo; 100 g di pane grattugiato; 20 g di semi di papavero; olio per friggere; sale e pepe.

Versare i ceci in una casseruola, coprirli con acqua fredda, unire verdure e alloro e cuocere a fuoco basso per circa 2 ore. Eliminare le verdure e l’alloro, sbucciare i ceci, frullarli con il basilico, aggiungere la farina, il Grana Padano grattugiato, i cipollotti tritati e insaporire con cumino, sale e pepe.

Formare le crocchette e passarle nell’uovo sbattuto e nel pane grattugiato miscelato con i semi di papavero.

Tagliare i porri, farli appassire in una casseruola con poco olio, peperoncino e alloro, unire il riso e coprire con il brodo. Portare a cottura con lo zafferano, frullare, sistemare di sale e pepe e insaporire con il cumino e con il cardamomo.

Tagliare le croste del Grana Padano a piccoli cubetti, disporli su un piatto e farli cuocere nel forno a microonde per 2 minuti.

Sbollentare il prezzemolo in acqua salata, raffreddarlo in acqua e ghiaccio, asciugarlo e frullarlo con olio, sale e pepe.

Friggere le crocchette in olio ben caldo, scolarle su carta assorbente. Versare la crema di riso nei piatti, adagiarvi le crocchette di ceci e completare con la salsa al prezzemolo e con le croste di Grana Padano.

Vino in abbinamento: Soave Doc
Ottimo con questo piatto nella versione fresca, floreale, con  bouquet largo, ricco di sentori di sambuco, mela e pera Williams; la sua bocca è elegante, sapida, ben bilanciata e persistente.

Vitovska, Il soffio della Bora

La Vitovska è salita di recente sugli altari di Bacco. Il vitigno si identifica con il Carso, miscrocosmo ricco di varietà vegetali che prolifica fra le rocce calcaree e il mare, spazzato dalle frustate della Bora. Il vitigno a bacca bianca è diffuso nella provincia di Trieste e nella vicina Slovenia, dove viene chiamato Vitovska Garganja. Alcuni sostengono che il nome derivi dalla località di Vitovlje, altri da Viez, che significa vino dei Cavalieri. A differenza di altre varietà che, seppur autoctone, hanno colonizzato territori e aree geografiche diverse, della Vitovska non esiste traccia in altre regioni del Mediterraneo e la sua storia è molto difficile da tracciare, pur essendo la narrazione vitivinicola triestina ricca di aneddoti, trattati e citazioni.

La tradizione locale la annovera da sempre nel Carso, dove il vitigno è stato capace di sopportare i freddi inverni e la siccità della stagione calda. Il confine divide con una traccia politica un’etnia e un territorio che sono unici; che la Vitovska sia italiana o slovena poco cambia perché il terreno è simile e anche gli stili produttivi. Il territorio, pur nei limitati spazi oggi a vigneto, poco più di 500 ettari, è riuscito faticosamente a imporre i propri prodotti sui mercati internazionali, puntando sulla qualità degli impianti e su metodi di vinificazione che hanno raccolto consensi unanimi. I prodotti di diversi vinificatori carsolini oggi sono presenti nei migliori ristoranti europei e notevole interesse è riscosso anche in paesi quali gli USA, il Giappone, l’Australia e il Brasile.

Sono molti i produttori che oggi cercano la possibilità di incrementare gli ettari a propria disposizione e vi sono alcuni giovani che desiderano produrre in quantitativi sufficienti da consentirne l’imbottigliamento, primo passo per affrontare in modo sostenibile le vendite e la conduzione dell’azienda vitivinicola.

• Generalmente i vigneti sono di piccole dimensioni e molto sparsi sul territorio, circondati da muretti a secco e dalla boscaglia. Questa tipicità da una parte garantisce la qualità delle uve, ma rappresenta anche un fattore di rischio di perdita di prodotto, visti i danni in costante aumento provocati dagli animali selvatici quali cinghiali e caprioli.

Nelle doline, depressioni del terreno che assumono forme diverse dovute a fenomeni di carsismo, il fondo è solitamente costituito da sostanze organiche oltre che da detriti calcarei, che spesso assumono un colore rossastro dovuto all’ossido di ferro. Caratteristiche che ritroviamo a volte nelle cantine sotterranee dei prodottori che scendono per molti strati nelle cavità del terreno.

Qui la Bora sferza e scolpisce piante e rocce, ma, asciugando, aiuta a prevenire le malattie della vite. Le vigne, che ora disegnano il paesaggio con le uve di Terrano, Vitovska e Malvasia Istriana, un tempo ricoprivano solo il costone carsico a picco sul mare disegnato da terrazzi sostenuti dai muretti a secco. Era quella una viticoltura eroica e ancora oggi dal mare le vigne emozionano con i colori delle viti che pennellano la roccia. Basta prendere un traghetto che porta da Trieste a Sistiana per godere di uno spettacolo unico.

• Gli stili produttivi del vino rispecchiano scuole di pensiero diverse.

La Vitovska si può trovare di un colore arancione per via della tradizionale macerazione sulle bucce, o decisamente più chiara quando vinificata in “bianco”, cioè senza contatto con la parte che la pigmenta. Alcuni produttori preferiscono proporre la Vitovska senza effettuare chiarificazioni o filtrazioni, lasciando il vino ammantato di una lieve opacità. Netti i riflessi dorati, soprattutto nel caso in cui i produttori scelgano l’affinamento in legno. C’è infine chi spumantizza la Vitovska, affidandosi alla lenta fermentazione del metodo classico. Il comune denominatore in ogni caso è sempre la sua caratteristica acidità e la spiccata mineralità. L’alcol non la fa mai da padrone e, secondo i casi, il vino esprime i profumi delicati dei fiori di campo, del fieno, della pera Williams, degli agrumi e della salvia, che si fondono con un deciso sentore di pietra focaia. La beva è piacevole, il corpo, soprattutto nella versione macerata, può essere molto ricco, ma trova il suo equilibrio nell’acidità, che rende la beva sempre appagante. Proprio grazie alla sua acidità, il vino può essere molto longevo, soprattutto nelle versioni macerate.

A tutelare le produzioni c’è l’Associazione Viticoltori del Carso, costituita agli inizi del 2013 per riunire i viticoltori che in precedenza facevano parte del Consorzio di Tutela Vini Collio e Carso.

• Momento clou per questo vino è “Mare e Vitovska” che si svolge ogni anno a giugno nel Castello di Duino, a pochi chilometri da Trieste. Più di 60 le aziende tra viticoltori, ristoratori e aziende agricole che presentano il frutto del loro lavoro. Soprattutto vino, ma non solo; infatti ad accompagnare il nettare degli dei ci sono anche prodotti gastronomici locali.

• Al di là della manifestazione, il sapore vero del Carso si trova nelle osmize, antesignane degli agriturismi e luoghi di schietta convivialità. Il nome deriva dal vocabolo sloveno osem, che significa otto e si riferiva ai giorni concessi dall’Impero ai contadini del Carso per vendere presso le proprie case, in via eccezionale, il sovrappiù derivato dall’agricoltura, dalla viticoltura e dall’allevamento. È dai tempi di Maria Teresa d’Austria che questa tradizione continua.

Seguendo le indicazioni segnalate dalle ‘frasche’ in Carso si va infatti per osmize: in una si assaggia il prosciutto, in un’altra le uova, nell’altra il formaggio, in tutte il vino. Vini che ritroviamo nelle gostline - le tipiche trattorie - che accompagnano i piatti tipici della cucina carsolina. Una cucina ricca a cui la Vitovska, grazie alle varie declinazioni, sa accompagnarsi egregiamente. Eccoci dunque alla Jota, tradizionale minestra di fagioli e crauti; la minestra di bobici con pancetta; il brodetto di pesce alla dalmata; i bleki, gli scampi a la busara; il formaggio Jamar stagionato nelle grotte carsiche; il prosciutto crudo del Carso e quello di Trieste che viene cotto con l’osso, venduto caldo e tagliato a mano, accompagnato da senape o da kren grattuggiato (radice di rafano); la porcina, ovvero la tipica coppa di miale bollita del Carso; i sardoni barcolani; i peoci e i caperozzoli ovvero le cozze e le vongole; le fritole con l’anima…

Da sempre, sia per i residenti che per i turisti curiosi di provare le tipicità del luogo, il problema principale è quello di conoscere il periodo di apertura e la collocazione dell’osmiza che si vuole visitare. Oggi esistono però delle applicazioni per smartphone che consentono di restare aggiornati, diversamente basta seguire le indicazioni del sito www.osmize.com.

Tre Consorzi di Tutela insieme nella promozione internazionale del vino della Maremma Toscana

Dopo Selezione Maremma a Vienna, i Consorzi di Tutela Vini della Maremma Toscana, del Montecucco e del Morellino di Scansano si danno appuntamento alle Anteprime Toscane e al ProWein

Si è chiuso alle 19.30 di giovedì 2 febbraio Selezione Maremma, evento organizzato presso l’Hotel Regina di Vienna dalla società Wein & Kultur, specializzata nella promozione del vino italiano – e non solo – in Austria. Presenti all’appello - con una selezionata rappresentanza di aziende - i tre Consorzi di Tutela del territorio maremmano: Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana, del Montecucco e del Morellino di Scansano. Scopo dell’iniziativa è stato quello di promuovere le eccellenze vitivinicole della regione in Austria, un mercato dove il potenziale di crescita è ancora molto alto, assistendo i produttori nella creazione di contatti commerciali con gli operatori locali.

Gli organizzatori dell’evento, Christian Bauer, austriaco ed esperto di vini e conoscitore dei mercati di lingua tedesca, e Marina Rebora, “Weinexpertin” italiana residente a Vienna che tiene vivo l’amore per i prodotti e la cultura italiani, sono molto soddisfatti di questa edizione di Selezione Maremma e confermano che “la Maremma e le sue 3 Denominazioni sono state accolte con commenti molto positivi dai 150 operatori intervenuti che hanno apprezzato la freschezza e l’espressività dei vini proposti e soprattutto il rapporto qualità prezzo! Il vice-presidente dei Sommeliers di Vienna, Walter Kutscher, che stima molto la Maremma, ha scoperto durante il suo seminario alcune “chicche” del panorama vitivinicolo italiano”.

L’esito dell’evento conferma l’importanza, ma soprattutto la volontà delle tre realtà consortili, di unire le forze nella promozione del vino della Maremma Toscana all’estero, nelle sue molteplici peculiarità. “L'evento di Vienna ha avuto una generosa affluenza di pubblico. Le aziende partecipanti sono state soddisfatte sia degli incontri svolti che dell'ottima organizzazione, ad opera di Christian Bauer. Il nostro obiettivo comune è quello di promuovere la Maremma. Per questo motivo unendoci potremo avere maggiore peso, anche a livello istituzionale. In questo senso sono sicuro che il Coordinamento dei nostri Consorzi potrà portare vantaggi a tutta l'area”, ha dichiarato il Presidente del Consorzio di Tutela del Vino Morellino di Scansano, Giuseppe Mantellassi.

Anche Edoardo Donato, Presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana, sottolinea come “finalmente, grazie alla sinergia tra i consorzi della Maremma, del Montecucco e del Morellino di Scansano, prenda sempre più forma il lavoro di coordinamento dei consorzi della Maremma, finalizzato ad offrire ai produttori un'offerta promozionale di maggiore efficacia senza incidere sui costi. Dopo il primo appuntamento di Vienna, che ha ricevuto importanti consensi da parte del mercato e dei produttori, la prossima occasione di incontro sarà alle Anteprime di Maremma ad Alberese, dove saranno presenti oltre 50 aziende dei tre Consorzi a presentare i propri prodotti ad un selezionato gruppo di buyer internazionali. Nel mese di marzo i tre consorzi condivideranno uno spazio comune in occasione di Prowein, per affrontare, uniti e con maggiore forza, i mercati internazionali”.

Collegato alle Anteprime Toscane - che saranno aperte alla Fortezza da Basso sabato 11 febbraio dai Consorzi Tutela Vini della Maremma Toscana, Vini del Montecucco, Vini del Morellino di Scansano, Vini Cortona, Vini di Carmignano, Valdarno di Sopra Doc, Bianco di Pitigliano e Sovana, Colline Lucchesi - e al Buy Wine, i due eventi che presentano le nuove annate toscane rivolti a stampa e operatori del settore, domenica 12 febbraio, ad Alberese (GR), è previsto un incoming di 34 buyer internazionali a cui verranno presentati il territorio e le eccellenze vitivinicole della Maremma.

“L’incontro diretto con gli importatori stranieri rappresenta un’occasione unica per le nostre aziende, per chi vuole affacciarsi sul mercato internazionale o rafforzare la propria presenza”, dichiara il Presidente del Consorzio Tutela Vini del Montecucco Claudio Carmelo Tipa, e continua “Come Consorzi di Tutela dei nostri territori, abbiamo il dovere di aiutare soprattutto le piccole e medie imprese che già esportano, che presentano un grande potenziale e considerevoli margini di crescita, con l’obiettivo finale di creare solidi e proficui rapporti commerciali, sia per i produttori sia per gli importatori”.

La Maremma tornerà protagonista al ProWein di Düsseldorf, il Salone Internazionale del Vino in programma dal 19 al 21 marzo 2017: un altro palcoscenico di prestigio per promuovere le aziende e i vini maremmani a livello internazionale.

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Consorzio Tutela Vini Della Maremma Toscana
Il Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana nasce nel 2014 dopo il conferimento della DOC con l’obiettivo di promuovere la qualità dei suoi vini e garantire il rispetto delle norme di produzione previste dal disciplinare, dedicandosi, inoltre, alla tutela del marchio e all’assistenza ai soci sulle normative che regolano il settore. Ad oggi il Consorzio conta 353 aziende associate, di cui 286 viticoltori (per la maggior parte conferenti uve a cantine cooperative), 1 imbottigliatore e 66 aziende “verticali” - che vinificano le proprie uve e imbottigliano i propri vini - per un totale di 5,5 milioni di bottiglie prodotte all’anno.

Consorzio Tutela Vini Del Montecucco
Il Montecucco è il Sangiovese dell’Amiata, vulcano spento che con i suoi 1.738 metri di altezza domina tutto il territorio compreso tra la Maremma, la Val d’Orcia e la Val di Chiana, e nasce dalle uve coltivate nei 7 comuni della denominazione di origine controllata e garantita, la DOCG in vigore da settembre 2011: Arcidosso, Campagnatico, Castel del Piano, Cinigiano, Civitella Paganico, Roccalbegna e Seggiano.  Il Consorzio di Tutela del Montecucco nasce nel 2000 ai confini nord-orientali della provincia di Grosseto e oggi, le 63 aziende associate e il direttivo del Consorzio puntano a uno sviluppo che possa coniugare gli aspetti produttivi con quelli promozionali e turistici del territorio. Il Consorzio raggruppa oltre 500 ettari di vigneto su una superficie vitata di 750/800 ettari e oltre 1,2 milioni di bottiglie su una produzione complessiva di 1,8 milioni l’anno.

Consorzio Tutela Morellino Di Scansano
Il Consorzio Tutela del Vino Morellino di Scansano nasce nel 1992 per volontà di un piccolo gruppo di produttori, decisi a supportare e valorizzare il proprio prodotto a Denominazione di Origine Controllata, attraverso azioni di promozione e tutela. Nel corso degli anni il Consorzio è andato man mano ampliando il comparto associativo, fino ad accogliere più di 200 soci, oltre 90 dei quali con almeno una propria etichetta di Morellino di Scansano sul mercato. La docg del Morellino di Scansano si estende dal Mar Tirreno fino ad arrivare ad oltre 500 metri slm del mare nelle colline che circondano il famoso Monte Amiata. Più precisamente la zona di produzione del Morellino di Scansano si estende per circa 65.000 ha, di cui circa 1.500 ettari a vigneto, nella zona sud ovest della provincia di Grosseto, la parte più a sud della Toscana. Comprende per intero il territorio del Comune di Scansano; buona parte dei Comuni di Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano; parte dei comuni di Campagnatico, Roccalbegna e Semproniano.

 

Gulasch di montone con croccante di riso alla paprika e Grana Padano

400 g di coscia d’agnello; 100 g di zucchine; 100 g di carote; 100 g di cipolla rossa; 100 g di sedano;
1 peperone rosso;
1 peperone giallo; 100 g di pomodori pelati; 100 g di patate; 1/2 l di vino rosso; 600 ml di birra ungherese; 50 g di burro; 200 ml di olio EVO; 150 g di Grana Padano Riserva; 200 g di riso Carnaroli; 40 g di paprika dolce; 5 g di peperoncino; 1 l di brodo vegetale; 100 g di crosta di pane rustico; 50 g di burro.

Disossare la coscia e ridurla in bocconcini di piccole dimensioni.

Tagliare  le verdure in brunoise (conservando gli scarti per il brodo vegetale) e soffriggerle. A parte, rosolare bene in una casseruola la carne, unirla con metà delle verdure tagliate e scaldare. Aggiungere il pomodoro, una parte della paprika e poco peperoncino, facendo ridurre il tutto. Versare il vino rosso e cuocere sino alla sua completa riduzione. Unire la birra, eventualmente poco brodo, le patate sbucciate e tagliate a cubetti e cuocere con coperchio per 1 ora e mezza. Scaldare il riso con poco burro e olio in casseruola, unire una parte di paprika e bagnare con il brodo vegetale. Cuocere in forno tipo pilaf, sino a completa croccante cottura. Estrarre dal forno, unire al riso le rimanenti verdure e sgranare con poco burro.

Grattugiare il Grana Padano, unirlo alla restante paprika e alla crosta di pane grattugiata grossolanamente. Stendere il composto su un piatto formando dei dischi e cuocere in forno microonde per circa 50 secondi alla massima potenza, ottenendo dei crackers croccanti. Stendere il riso condito con le verdure nel piatto, distribuire il gulasch e guarnire con i crackers.

Vino Consigliato:  CARSO DOC TERRANO
Le fragranze selvatiche di lampone e mora, il limitato contenuto tannico, l’esuberante acidità e la gradazione moderata, formano con il piatto un abbinamento perfetto.

Amarone super star

In un mercato del vino che cambia rapidamente, il Veneto rappresenta oggi una certezza, non solo grazie alla performance straordinaria del Prosecco, ma anche a quella di vini presenti su segmenti di più elevato standing. In primis l’Amarone! Il Veneto rafforza la sua leadership tra le regioni italiane nell’export, tant’è che, preso singolarmente, il valore dell’export della regione supera da solo quello di interi paesi, come il Cile, gli Usa e l’Australia.
Alla crescita enologica del territorio ha contribuito di certo una maggiore qualificazione dei prodotti in termini di identità territoriale e di elevamento qualitativo. Questi risultati rispondono a loro volta a una maggiore professionalità e a un più mirato impegno della componente vitivinicola della regione. A sorreggere, tuttavia, gli sforzi dei produttori sono stati soprattutto i Consorzi, che in Italia sul piano delle iniziative di promozione e di marketing sono indubbiamente i più attivi.
In questo contesto si muove il Consorzio della Valpolicella, premiato recentemente a Merano dalla guida Vinibuoni d’Italia anche per l’attenzione che rivolge ai valori della sostenibiità ambientale con il progetto delle tre R: “Riduci Risparmia Rispetta”. Per la prima volta in Italia è un Consorzio di tutela a certificare, sotto il controllo di un ente terzo, la sostenibilità del processo produttivo anche in accordo con le amministrazioni locali. “Il marchio - sottolinea Olga Bussinello, direttore del Consorzio - rappresenta la certificazione del rispetto ambientale, con l’adozione di tecniche innovative in vigneto, e della tutela del paesaggio. Il progetto nel suo primo anno ha coinvolto 30 aziende e 500 ettari di vigneto, ma l’obiettivo è di arrivare a certificare il 60% della superficie vitata nei prossimi due anni. Teniamo molto a questo traguardo su cui in Europa si sta cimentando soltanto l’Austria”.
Il protagonista del territorio è l’Amarone, che presentato in anteprima a Verona conferma anche con l’annata 2013 un livello qualitativ elevato. Anteprima Amarone 2017 giunge alla sua 14° edizione e rappresenta tuttora l’elemeto di punta della denominazione veronese. Le 78 aziende che hanno aderito hanno avuto l’opportunità di presentare oltre 150 etichette, tra le quali una selezione di annate storiche, di cui ho apprezzato una generale positiva evoluzione, con alcuni bicchieri in grado di suscitare, specie nelle annate 2006-2008, emozioni per la capacità di integrare complessità, viva esuberanza, raffinata potenza, fierezza, fresca persistenza e propensione alla longevità.

Un vino, l’Amarone, che rafforza la scelta della guida Vinibuoni d’Italia nel sostenere le potenzialità dei vitigni autoctoni nel produrre vini di altissimo livello, su cui sempre di più si soffermano le attenzioni dei mercati internazionali, da quelli più evoluti a quelli emergenti. L’Amarone della Valpolicella è infatti il risultato di una combinazione non ripetibile altrove di interazione tra vitigni e ambiente, a cui si aggiunge una tecnica, l’appassimento, che nelle varietà autoctone della Corvina, del Corvinone, della Rondinella, porta alla sintesi di composti non presenti nelle uve fresche. “Tanti elementi tutti gestiti con scrupolo in vigneto e in cantina e codificati da un preciso disciplinare di produzione, che - come dice il presidente del Conzorzio, Cristian Marchesini - portano a un vino assolutamente unico a livello mondiale. Ciò che ancor più arricchisce di fascino e attese questo vino è ciò che la ricerca scientifica ha evidenziato negli ultimi anni, ma che era già stato colto dalla gente del Valpolicella. Le uve Corvina e Corvinone infatti, molto più delle varietà internazionali, nel corso dell’appassimento si arricchiscono di molecole dal grande valore salutistico e nutraceutico, tra le quali la più nota è il resveratrolo. Non solo. Nel corso della messa a riposo nelle uve avviene anche la sintesi di composti aromatici (come norisoprenoidi e terpeni) alcuni dei quali non presenti nelle uve fresche.”

Tra le novità di questa Anteprima Amarone, anche il debutto del calice "istituzionale", infatti una commissione di esperti ha selezionato un modello ad hoc che ne esalta l’espressione.

L’Europa è la penisola occidentale dell’Asia, fondata sul vino

Philippe Daverio e il giornalista Andrea Scanzi hanno dialogato ad Anteprima Amarone sul parallelo tra opere d’arte, icone di stile e Amarone. La prolusione di Philippe Daverio parte tuttavia da una riflessione geo-antropologica. Nel linguaggio europeo un’unica parola accomuna nelle sua radice tutte le lingue del vecchio continente: il vino. Ecco dunque che l’Europa diventa “… la penisola occidentale dell’Asia, fondata sul vino”. Partendo comunque dal tema dell’incontro, ovvero dal binomio vino e arte, Daverio sostiene: “… l’Italia è intimamente barocca, vive da sempre all’insegna del “chi più ne ha più ne metta”, e questo vale per l’architettura come per la burocrazia. Ecco, l’Amarone in questo senso è forse uno dei vini più barocchi d’Italia; è tutto quello che è leggermente troppo, perché è un troppo che a noi non basta mai”.
Parole in libertà quelle di Daverio, che tuttavia vanno diritte al cuore dei problemi, quando, con un pizzico d’ironia, rivela “Avevo proposto di trovare per l’Italia un Ministro dei Beni Culturali che arrivasse dal mondo del vino, che avesse dimostrato di saper concretizzare il rapporto tra creatività, prodotto e progetto, che poi è la stessa triade che sta alla base della cultura. Il vino italiano questo l’ha fatto… Il vino è il simbolo di un progetto culturale anche redditizio… e in Valpolicella, come in altri territori, la redditività del vino è stata fondamentale perché i produttori rimanessero e investissero preservando il nostro bel paesaggio e scommettessero sulla bellezza”.
E qui Daverio, con intelligente acume, ripete quello che spesso Vinibuoni d’Italia ha raccontato ai produttori. “Secondo me - continua Daverio - ci sono dei settori in cui l’Italia è imbattibile nel mondo, e uno di questi è il cibo, in cui il vino, in pochi anni, ha giocato un ruolo importantissimo, guidando la crescita e la scommessa sulla qualità. Ma il vino italiano deve imparare a raccontarsi, soprattutto in mercati nuovi che di vino sanno pochissimo, come la Cina. In questo senso, voi produttori di vino dovete essere un po’ dei nuovi evangelisti del bello e del buono che producete”.