Valdobbiadene, la verticale che non ti aspetti

Spazzata via l’ossessione di inutili competizioni e imitazioni con altre tipologie di bolle, quel 15% di consumatori che si accultura sulle guide del vino, quei giornalisti e blogger ostinati nel loro ostracismo nei confronti del Prosecco, avrebbero da ricredersi se, nell’atmosfera rilassata della sala degustazione di Col Vetoraz, avessero potuto godere delle emozioni offerte da

Spazzata via l’ossessione di inutili competizioni e imitazioni con altre tipologie di bolle, quel 15% di consumatori che si accultura sulle guide del vino, quei giornalisti e blogger ostinati nel loro ostracismo nei confronti del Prosecco, avrebbero da ricredersi se, nell’atmosfera rilassata della sala degustazione di Col Vetoraz, avessero potuto godere delle emozioni offerte da 11 annate che, a partire dal 2006, mi hanno accompagnato al calice dell’ultima vendemmia. La provocazione è di Loris Dell’Acqua che mi conferma come la verticale sia dedicata in prima assoluta a Vinibuoni d’Italia.

Le due declinazioni del Prosecco, il Brut e il Dry, degustati in successione a partire dal 2006, il 3 febbraio scorso, raccontano come questo vino, che il mito vuole immediato e giovane, abbia un carattere tutto da scoprire e del tutto sorprendente. La giornata piovosa invogliava alla riflessione, pur privandoci della bellezza di un panorama che conosco incantevole per le marcate onde dei vigneti incastrati sulle dorsali spesso a strabiombo delle colline. Un paesaggio che si sarebbe aperto dinnanzi a noi nel quadro delle ampie vetrate che incorniciano, dall’azienda, il Monte Cartizze. Invece la bruma mascherava il fondovalle, tant’è che i picchi più elevati sembravano isole abbozzate in un mare di nubi.

L’inizio è spiazzante. Il 2006 Brut ha colore dorato; i profumi di nocciola e frutta candita si affiancano ad una freschezza inaspettata; la bocca è opulenta e fragrante, con note minerali ancora marcate, un terziario integrato e una bolla tanto raffinata ed elegante, quanto intensa e vivace. Nonostante la sequenza della degustazione fosse appena iniziata, ho faticato a liberare la bocca dal bicchiere. Un’emozione unica, confortata anche dal coevo calice del Dry, in cui la gradevole evoluzione degli zuccheri ha permesso di contenere la nota ossidativa, portandoci ad apprezzare frutta candita, camomilla, pasticceria e rum, cucite su un abito raffinato.  

Loris non ha accompagnato la degustazione seguendo gli schemi canonici. Ha preferito che insieme alle note tecniche, fossero i vini a portarci verso una più fruttuosa chiacchierata che ha permesso di sviscerare al meglio la successione delle annate, parlando di clima, di territorio, di aspettative e di orizzonti della Docg.

Le sequenze successive all’esordio sono risultate una corrispondente espressione dello stile della casa, che partendo da selezioni rigorose, unica nel territorio, dedica tutto il suo impegno esclusivamente alla produzione di Valdobbiadene Docg. Un milione di bottiglie che, nelle vendemmie degustate, hanno raccontato abilità e sicurezza di stile, aderenza agli andamenti climatici che il metodo charmat non ha assolutamente cancellato. Per non tediare, raccolgo alcuni spunti memorabili. Il 2008 maturo, equilibrato, di amabilità quasi liquorosa, è risultato variegato e complesso, con nota di mandorla tostata finale; il 2010 più fresco e fragrante. Il 2013, che già si avvicina all’immediatezza della tipologia, proponeva sentori che risaltavano la freschezza tipica della mela verde, in un bouquet di fiori bianchi, e, specie sul Dry, anche una leggera nota di miele, offrendo al palato una percepibile buona sapidità…

Così di emozione in emozione, abbiamo dimenticato il tempo e dalle 9 del mattino siamo arrivati alle 14 lasciando ai vini la capacità di farci innamorare ancora una volta di storie e culture che ogni area vinicola italiana sa raccontare.

Sono certo di interpretare il pensiero dei miei coordinatori presenti, Annie Martin Stefanatto e Paolo Ianna, nel ringraziare Loris per averci permesso questa verticale; per averci regalato emozioni e la suggestione di una gradita scoperta. Una rinnovata conferma di come il vino, in particolare quello che nasce da vitigni autoctoni, sappia raccontare storie inedite, specie quando viene prodotto partendo da uve eccelse, da vigne adagiate su un territorio di elezione e di millesimi ogni anno diversi. Le tecniche di produzione e l’abilità del produttore non fanno altro che interpretare i doni della natura, portandoli, come nel nostro caso, a livelli di eccellenza.  

Mario Busso

 

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