Vinibuoni d’Italia premia le sorelle Tibaldi a Cin Roero 2016

Sotto le mura del Castello di Monticello d'Alba, a Cin Roero 2016 si è brindato con i vini della rive gauche del fiume Tanaro, presentati per l'occasione dalle giovani generazioni di produttori del Roero.
Madrina della manifestazione è stata la guida Vinibuoni d’Italia che ha consegnato alle sorelle Monica e Daniela Tibaldi un particolare riconoscimento, per sottolineare il rinnovamento generazionale in atto nelle colline vitate del Roero e l’impegno imprenditoriale delle donne nella vitivinicoltura (27% in Italia).
Una sottolineatura importante che anche nel Roero evidenzia un trend in atto nel settore. Secondo Nomisma Wine Monitor e Agia-Cia (Associazione giovani imprenditori della Confederazione italiana agricoltori), sono circa 24.000 i giovani produttori di vino italiani e le aziende di questi giovani crescono proporzionalmente il doppio delle aziende “senior” con la metà del credito, perché usano la rete e i social media per promuovere le loro bottiglie dentro e fuori i confini nazionali e studiano marketing.
L’identikit dei giovani produttori di vino?
Il 60% ha rilevato l’impresa di famiglia e più della metà svolge attività multifunzionali.
Hanno tra i 25 e i 36 anni e posseggono un’istruzione medio-alta (75% diplomati e 15% laureati); parlano inglese e oltre il 90% ha un’ottima conoscenza del web; in otto casi su dieci si connettono quotidianamente a internet, mentre in cinque casi su dieci usano la rete per promuovere i propri prodotti, raggiungendo più facilmente i consumatori e ampliando la propria clientela. Ma non solo: soprattutto con i social possono condurre indagini di mercato per comprendere e anticipare i gusti e le esigenze dei compratori, orientando la propria offerta.

Tutte le sfumature dei rosati del Salento

Appena conclusa la terza edizione della kermesse Roséxpo 2016 dedicata ai vini rosati nostrani e internazionali, in rassegna rispettivamente 156 e 46 etichette, si pensa già a ciò che potrà riservare l’immancabile appuntamento per il 2017, programmato a Lecce dal 9 all’11 giugno. Ma perché dedicare tanto spazio ai vini rosati? Da sempre, e da molti, ritenuti “vinelli beverini e fragolosi", idonei al consumo prevalentemente estivo e rivolti al target femminile. Il Salone internazionale dei vini rosati nasce proprio per scardinare questo cliché. Così, per volontà dell’Associazione deGusto Salento, impegnata nella valorizzazione del Negroamaro, sono stati invitati a Roséxpo 2016 giornalisti da fuori regione, fotografi e addetti ai lavori, tra cui la guida Vinibuoni d’Italia.

deGusto Salento raggruppa 18 produttori pugliesi innamorati della propria regione e consapevoli della necessità di comunicare in un’ottica di condivisione esperienziale. Le cantine aderenti all’Associazione sono Apollonio Vini, Bonsegna, Calitro, Cantele, Cantine Paololeo, Castel di Salve, Castello Monaci, Conti Zecca, Garofano Vigneti, Marulli Vini, Michele Calò, Romaldo Greco, Rosa del Golfo, Santi Dimitri, Tenute Rubino, Valle dell’Asso, Vallone e Vetrère.
Attraverso un fitto calendario di appuntamenti sono emerse le altre sfumature del rosé. Ad esempio, quella che ci mostra un vino capace di reggere l’urto del tempo senza “spogliarsi” più di tanto di tannini e acidi, come dimostrato nella verticale, tutta abruzzese, di Cerasuolo Doc di Cataldi Madonna (annate 2004, 2006, 2010 e 2014) ed Emidio Pepe (annate 2003, 2011, 2013 e 2015). Laddove la tonalità si è scostata dal “canonico” color cerasa, il profilo gusto-olfattivo ne ha risentito ben poco, leggasi Pepe 2003. Le riflessioni sul colore sono state ricorrenti nel corso di tutti i dibattiti e durante le master class proposte da Slow Wine, “Sicilia vs Calabria”, “Una finestra sui rosati del mondo” e “Cerasuolo d’Abruzzo a confronto”, curate da Fabio Giavedoni e Francesco Muci. Assodato che ragioni di marketing ed esigenze commerciali privilegiano il paradosso della bottiglia trasparente per i vini rosati, a scapito della loro integrità nel tempo; il colore “giusto” per un paradigmatico rosato salentino da uve Negroamaro non può prescindere da considerazioni relative alla tecnica di vinificazione e al vitigno di partenza: dotato di buona acidità e con una trama tannica importante, come spiega bene Giuseppe Baldasarre nel suo libro "Negroamaro di Puglia. Il gusto nascosto". La tradizione del rosato salentino vuole la vinificazione “a lacrima”, che prevede la pressatura soffice, la macerazione di poche ore e la resa in mosto equivalente al 35%. L’esigua percentuale dopo la svinatura sarà destinata alla successiva fase di fermentazione alcolica. Quindi, vini rosati così ottenuti non possono, e non dovrebbero, scimmiottare lo stile provenzale caratterizzato dalla tipica nuance buccia di cipolla. La Provenza invece, è stata citata come lungimirante modello di marketing territoriale da cui imparare. Così come la Doc Cerasuolo d’Abruzzo. Un’unica Doc usata per le quattro province abruzzesi indica il rosato da Montepulciano d’Abruzzo; ciò scongiura l’accavallamento di denominazioni.

Il mondo dei vini rosati in Italia è tutto da esplorare. I dati a livello mondiale parlano di 24 milioni di ettolitri di vino prodotti. Il consumo di vini rosati in Italia equivale al 6%, negli Stati Uniti e in Francia supera il 22%. In Provenza gli investimenti a favore della ricerca e della comunicazione sono ingenti, nel Belpaese la musica cambia e stona. I dati faticosamente raccolti da Andrea Terraneo presidente di Vinarius, associazione di enotecari indipendenti, ci parlano mediamente di 4-6 etichette per esercizio scelte autonomamente dal gestore sulla base del proprio gusto. Si avverte una carenza diffusa di strumenti a sostegno della promozione dei rosati e una lacuna nella formazione.

L’Associazione deGusto Salento attraverso Roséxpo, iniziativa supportata dal Comune di Lecce e dalla Regione Puglia, dà testimonianza del concetto di promozione territoriale, intesa come progetto di ampio respiro che, con vari strumenti, dall’ambito locale si apre al mondo. Significativi gli sforzi dei 18 produttori, della responsabile dell’Associazione Ilaria Donateo, l’unica non produttrice, e del suo staff. Tutti insieme hanno stretto alleanze trasversali capaci di consentire la crescita qualitativa della manifestazione, in appena 3 anni. Solo per citare alcune partnership elenchiamo la collaborazione con il Concours Mondial de Bruxelles, la Città del Gusto di Lecce, l’antica cava Malcandrino, il magnifico Castello di Carlo V di Lecce, la delegazione regionale dell’Associazione Le Donne del Vino, l’Associazione Italiana Sommelier e Radici del Sud, la famosa rassegna dei vini meridionali. A questo elenco vanno aggiunti ristoranti, negozi, media partner e strutture ricettive. Degna di nota la partecipazione del pubblico che per 2 giorni ha affollato il Castello di Carlo V all’insegna della convivialità e con l’obiettivo di scoprire le migliori espressioni dei rosati salentini e del mondo.

di Jenny Viant Gómez

Il vino si fa vegano

Il claim “vino vegano” è un’informazione attualmente non regolata in modo specifico né dalle norme comunitarie né da quelle nazionali. Ad oggi “vegano” e “vegetariano” identificano prodotti che come tali devono sottostare a norme generali di veridicità e non ingannevolezza evidenziati in etichetta.
Esistono sul mercato diversi marchi privati che identificano la caratteristica “vegan”. Si tratta normalmente di marchi di proprietà di persone fisiche, associazioni o strutture private che vengono concessi in uso ai produttori di vino in base a specifici regolamenti.
Semplificando molto, un vino vegano è un vino nel cui processo produttivo non vengono utilizzati prodotti di derivazione animale, né in vigna né in cantina. Si fa riferimento, per esempio, a prodotti come la caseina e l’albumina, spesso usati nella fase di chiarificazione.
Proprio ieri a Milano presso il ristorante Joia, un’azienda piemontese, ha presentato alla stampa il nuovo gioiello di casa, che completa le varie declinazioni del Ruchè della cantina. Si tratta dell’azienda Montalbera che ha scelto di intraprendere il percorso vegano partendo dal Ruchè di Castagnole Monferrato Docg La Tradizione, un vino che nasce da una vinificazione tradizionale, da un passaggio in vasche d’acciaio inox e da un affinamento di tre mesi in bottiglia.
Franco Morando ha creduto fortemente in questa scelta: “Il vino vegano è un vino nato dal frutto, dalla vigna, dal lavoro e dalla passione. Con questa scelta intendiamo interpretare al meglio le esigenze di un nuovo segmento di consumatori fortemente in crescita”. Con la certificazione vegana sull’etichetta Ruchè La Tradizione 2014 diamo la serenità e la tranquillità che, in tutta la filiera produttiva, il vino non è stato intaccato da nessun elemento di origine animale”.
Come la pensa Luca Martini migliore sommelier al mondo nel 2013?
“Il vino vegano va raccontato come qualsiasi altro vino: con passione, amore e rispetto, dobbiamo solo avere la sensibilità di far capire al cliente che la filiera produttiva non utilizza prodotti di origine animale. Non si tratta di scendere in dettagli tecnici che nel contesto di una cena o di un momento conviviale sarebbero fuori luogo. Si tratta di trasmettere un concetto che per alcuni consumatori può rappresentare un importante valore aggiunto”.

Anteprima Amarone

Il disciplinare di produzione dei vini DOCG “Amarone della Valpolicella” all’articolo 11 recita:
"(...)i vini "Amarone della Valpolicella" prima della immissione al consumo devono essere sottoposti ad un periodo di invecchiamento di almeno due anni con decorrenza dal 1° gennaio successivo all'annata di produzione delle uve".
Pertanto...pertanto... gli Amaroni prodotti con le uve raccolte nel 2012 potevano essere immessi al consumo dal 1 gennaio 2015. Siamo nel gennaio 2016 e siamo andati all’Anteprima Amarone 2012 dove ben 44 vini, su 77 in degustazione, erano ancora da imbottigliare. C’è qualche cosa che non torna. Ne parlavo con il presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella, Christian Marchesini. Conveniva su questa discrasia e affermava la propensione, per la quasi totalità delle aziende, ad allungare i tempi di affinamento per permettere a questo cavallo di razza di smussare gli spigoli e puntare all’armonia. Forse varrebbe la pena di cambiare il disciplinare? Mi diceva che ne è stato discusso in consiglio e che non sarebbe una cattiva idea farlo. Ma ora veniamo a questa annata 2012. Annata partita con una primavera umida, un'estate caldissima, un autunno fresco e poi tanta pioggia. Annata capitale che ha segnato il cambio climatico con imprevedibilità stagionali. Un’annata in cui le viti hanno dovuto subire stress sia per la pioggia che per il caldo. Parlando con Daniele Accordini, il mio enologo di riferimento per la Valpolicella, mi spiegava che è stata un’annata più di concentrazione che di sintesi. La vite ha bisogno di sintesi per dare il meglio. L’agosto caldissimo ha fatto si che le piante si siano chiuse in se stesse e abbiano concentrato gli alimenti con un aumento di acidità e zuccheri. Tutto questo l’ho riscontrato all’assaggio, alla cieca, in quasi tutti i 77 campioni. Ho notato una propensione ad avere Amaroni sempre meno “cicciottosi” e sempre più scattanti e croccanti. Non culturisti ma ginnasti. Meno musica barocca e molto, ma molto, jazz. In complesso la qualità è superiore al 2011 anche se molti vini hanno ancora bisogno di riposare, di affinare, di crescere. Ho notato ancora, in molti, la non completa concordanza tra naso e bocca. Difetto di gioventù. Son certa che tra 6 o 12 mesi tutto questo non ci sarà più. Un consiglio? Acquistare ora l’Amarone che più ci piace e aprirlo, minimo, per Natale 2016.

Liliana Savioli

Festival Franciacorta a Casa Berlucchi

L’invito di Francesca Facchetti, Responsabile Relazioni Esterne e Ufficio Stampa della Guido Berlucchi & C. Spa, cade in occasione del recente Festival Franciacorta. Date “calde”, quelle di quel fine settimana settembrino, per l’azienda di riferimento nel comprensorio quanto a massa critica (produzione media annua intorno ai 5 milioni di bottiglie sui 15 milioni complessivi espressi dalla denominazione) viste le 1.000 presenze attese (e superate in sede di consuntivo) per visite alla cantina, degustazioni ed un appuntamento sciccoso come l’Aperitivo Pop con gli assaggi creati ad hoc da Davide Oldani. Un sabato ancora estivo, dalle temperature miti, permette a Cristina ed Arturo Ziliani di fare gli onori di casa sulla pelouse di Palazzo Lana lasciando allo chef il compito di suggerire i tre abbinamenti studiati con i Berlucchi ’61 (Brut, Satèn e Rosé). In realtà i pochi fortunati finiscono rapidamente per divertirsi a “scombinare” le suggestioni predefinite (Satèn con il Centrifugato di verdufrutta, stracciatella e fave di cacao – Brut con il Bignè allo zafferano, erborinato, composta di fichi e semi tostati – Rosé con la Pasta di salame, panella di ceci, tamarindo e olive croccanti) potendo contare sulla versatilità di queste bollicine, capaci di ritararsi con facilità sul cibo in virtù della loro morbidezza ed equilibrio. Gettonatissimo il Satèn (di tutto Chardonnay con maturazione di 24 mesi sui lieviti) non soltanto per la capacità di amalgamarsi con grande duttilità ad ogni sapore, ma per la ricchezza dei rimandi organolettici che spaziano dal gelsomino al biancospino, dalla pesca al melone, dalla melissa alla menta. Una lunga scia fresca accompagna il palato sostenuto da un perlage sottile e delicato. La serata si prolunga in una cena ristrettissima dalla quale estrapoliamo la splendida rilettura del risotto allo zafferano in cui Oldani arriva all’essenza gustativo-cromatica della spezia. Tiene botta da par suo la Cuvée Imperiale Vintage 2011 (Chardonnay in prevalenza con saldo di pinot nero) dall’inconfondibile tocco mandorlato ed agrumato che riprende la sfumatura citrina dello stesso riso, particolarmente apprezzata da Cristina Ziliani cui ricorda la gremolada dell’infanzia. Ad Arturo Ziliani il compito di condurre sapientemente il laboratorio della domenica mattina, in bilico tra vini in commercio e vecchie annate (ovviamente sold out) e lasciarci con l’anteprima dell’Extra Brut Extrème Palazzo Lana Riserva 2007, Pinot Nero in purezza lasciato sei anni sui lieviti. Ancora giovanissimo, tagliente ma dalla beva coinvolgente, netto nelle analogie di ribes ma già capace di proporre note affumicate e minerali. Un fuoriclasse destinato a lunga vita. Tutt’attorno il Festival Franciacorta scorre con i gruppi dei visitatori che si avvicendano in una processione continua. Stress test superato. Alla grande.

Guido Ricciarelli

Tanto per farci del male

Dal recente convegno di Scandiano (Re), dove si è parlato di Lambrusco e difesa dei vitigni italiani, si è parlato del pericolo che incombe sui territori: l’obbligo d’accorpamento dei comuni sotto i 5 mila abitanti. La proposta di legge crea scompiglio nelle denominazioni d’origine.
Dalla Val d’Aosta alla Sicilia, passando per Aymavilles e Morgex (Ao) fino a Montevago (Ag) e in decine di altri paesi del vino, la proposta di legge per obbligare i Comuni sotto i 5mila abitanti a fondersi, presentata alla Commissione Affari istituzionali della Camera da 20 parlamentari Pd, rischia di creare molta confusione ed effetti collaterali sul sistema delle denominazioni d’origine italiana, ricca di vini conosciuti per il nome del Comune in cui sono prodotti, e con riflessi negativi anche sull’enoturismo e sulla produzione, per aspetti d’etichettatura e promozione.
A lanciare l’allarme, a margine del convegno, è l’Associazione Nazionale Città del Vino, rete di 450 Comuni italiani a vocazione vitivinicola. La proposta governativa di “sciogliere” i Comuni sotto i 5.000 abitanti per ironia della sorte rimette in discussione il territorio comunale creando un vulnus a molte denominazioni. Insomma, anziché rafforzarlo, s’indebolisce il terroir.
“La vitivinicoltura italiana e il sistema delle qualità delle denominazioni – sostiene il presidente di Città del Vino, Floriano Zambon - ha come riferimenti principali il vitigno e il territorio, l’origine e la tipicità, ovvero quei presupposti delle denominazioni che andrebbero rafforzati e difesi e non minacciati dall’interno, con le nostre stesse mani. L’Associazione prevede due strade possibili per scongiurare ulteriori pericoli: il Testo Unico del Vino in corso di redazione, dove abbiamo sottolineato più volte ai relatori andrebbe specificata meglio la caratteristica identitaria dei nostri vitigni, poiché nessun Paese al mondo basa la propria vitivinicoltura su un numero così elevato di varietà (oltre 500 quelle iscritti al Catalogo nazionale e molti gli autoctoni). Secondo – conclude Zambon - la veloce approvazione della proposta di legge che riconosce il mondo del vino italiano come patrimonio culturale”.
“La nostra vitivinicoltura di qualità ha anche una sua specificità: quella cioè d’essere prodotta in tanti Comuni sotto i 5mila abitanti – sottolinea il direttore di Città del Vino, Paolo Benvenuti”-.
In questa prospettiva la proposta di legge sullo scioglimento dei piccoli Comuni rischia di mandare in tilt il nostro sistema di qualità. Anche su questo è necessaria una riflessione attenta e una revisione, perché un conto sono le funzioni amministrative, un altro la rappresentanza degli interessi e del valore che le amministrazioni locali hanno in dote per storia, tradizioni, patrimonio e comportamenti”.
Stando a questa proposta si salva per ora Montalcino, che con 5.139 anime potrà conservare il titolo di Comune, almeno finché la demografia lo consente, ma un Barolo di Barolo (739 abitanti) si chiamerà della “frazione”di Barolo? Un Morellino rimarrà di Scansano (4.500 persone) o della “località” Scansano? E il Barbaresco (670 abitanti), il Greco di Tufo (934), l’Aleatico di Gradoli (1.479)…?

Anteprima Amarone

Trend positivo per il Grande Rosso veronese che chiude il 2015 con un fatturato di 310 milioni di euro, registrando un incremento in valore del 6% sull’anno precedente, mantenendo così il suo appeal sul consumatore, soprattutto fuori dai confini italiani dove è diretto il 60% della produzione: Usa e Canada in primo piano, seguiti da Svizzera, Svezia e Germania in lieve flessione".

Il dato più positivo riguarda il trend dell’imbottigliato che, sempre nel 2015, ha registrato un 5% in più rispetto al 2014 e a favore delle annate più vecchie che rappresentano oltre il 50% di quanto entrerà in commercio.

Alla 13esima edizione di Anteprima Amarone verranno presentate le statistiche dell’Osservatorio Vini Valpolicella relative all’Amarone, a cura di Wine Monitor di Nomisma. I temi saranno: i mercati di riferimento, i loro trend di crescita e i paesi emergenti su cui puntare. Ogni anno verrà dedicato un focus ad un panel consumatori di un paese target. Quest’anno sarà la volta del Canada. Precisa Olga Bussinello: "Conoscere i numeri e le tendenze dei mercati risulta importante nell’ottica di capire la domanda e migliorare così l’offerta. Con Wine Monitor di Nomisma abbiamo creato un osservatorio permanente sui vini della Valpolicella a garanzia di un costante monitoraggio sull’andamento della denominazione".

L’appuntamento con Anteprima Amarone 2012, a cui parteciperanno 74 aziende che presenteranno l’annata 2012 ed una selezione di annate storiche, è per sabato 30 e domenica 31 gennaio al Palazzo della Gran Guardia.

www.anteprimaamarone.it

LA BARBERA D’ASTI E’ UN VINOBUONO

Asti, 20 gennaio - Per comprendere il ruolo della barbera d’Asti è sufficiente osservare i numeri della guida Vinibuoni d’Italia: 47 aziende recensite, 9 corone d’oro e 7 corone arancio assegnate, rendono la DOCG astigiana indiscussa protagonista della qualità vitivinicola piemontese.

“La crescita della barbera d’Asti è sotto gli occhi di tutti – sentenzia il curatore nazionale della guida Vinibuoni d’Italia Mario Busso -, e questo lo si deve ad un grande lavoro che la filiera ha compiuto su sé stessa e sul prodotto. Credo che la strada imboccata, fatta di territorialità e qualità, non possa che rilanciare sempre di più l’immagine di questo vitigno, espressione compiuta del Piemonte da bere”.

“Poiché l’attenzione posta da Vinibuoni d’Italia all’identità territoriale è la stessa che anima il Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato – dichiara il Presidente Filippo Mobrici – la nostra soddisfazione per questi numeri è doppia. A tal proposito voglio ringraziare tutte le aziende che quotidianamente si impegnano affinché la Barbera cresca, garantendo loro che il Consorzio farà tutto quello potrà perché a questa crescita qualitativa corrisponda un riconoscimento economico, effettivo e duraturo”

“Siamo contenti di questo duplice premio – ci dice Mauro Pavia, che assieme alla propria famiglia gestisce l’azienda Agostino Pavia & Figli, una delle quattro ad aver ottenuto tanto la corona d’oro quanto quella arancio –. Il percorso per realizzare un grande vino è costellato di fatiche ed errori, per questo oggi ci godiamo questo riconoscimento, nell’auspicio che non sia che il primo di una lunga serie”.

L’evento di premiazione e la consegna dei diplomi di merito, organizzata in collaborazione anche con la Banca di Asti e il Consorzio della Barbera d’Asti, si terrà giovedì 21 gennaio, presso la sala Congressi della Banca di Asti, in Piazza della Libertà 23, ad Asti, a partire dalle h 17.00.

Fvg i territori del gusto/20

Il Marchio AQuA è un Marchio di Qualità collettivo e volontario di proprietà della Regione Friuli Venezia Giulia, istituito in base alla Legge Regionale n° 21/2002 e gestito dall’ERSA, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale. Si basa sul Regolamento che disciplina l’uso del Marchio e sulla base di Disciplinari Tecnici di Produzione a cui devono attenersi le organizzazioni concessionarie del Marchio stesso.
Tali disciplinari stabiliscono le tecniche di produzione, i requisiti del prodotto finale e i criteri di identificazione e tracciabilità, garantendo la sostenibilità ambientale, la qualità del prodotto e la salubrità per il consumatore finale.
Il Marchio AQuA, acronimo di Agricoltura, Qualità e Ambiente è contraddistinto da un logo rappresentato da un aquilotto su sfondo giallo e blu. Il marchio intende valorizzare prodotti agricoli, zootecnici, ittici, silvo-pastorali sia freschi che trasformati, con un costo per le aziende richiedenti nettamente inferiore a quello di una certificazione di origine territoriale con DOP e IGP.
Le organizzazioni interessate all’utilizzo del Marchio devono assoggettarsi al controllo di un ente terzo e indipendente accreditato sulla base della norma UNI EN 45011(Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono sistemi di certificazione di prodotti) per la certificazione dei prodotti agricoli e una volta ottenuta la certificazione devono presentare domanda all’ERSA, la quale verificati i requisiti concederà l’uso del Marchio.
CCPB srl è uno degli organismi riconosciuti per la certificazione del Marchio AQuA mediante verifiche ispettive e prelievo di campioni di prodotto da sottoporre ad analisi multiresiduali ed organolettiche sulla base del proprio Documento Tecnico DTP 11.
Attualmente CCPB srl per il Marchio AQuA certifica Co.Pro.Pa, Cooperativa di Produttori di Patate di

Gli elementi caratterizzanti il marchio sono:

Agricoltura
I requisiti più direttamente collegati alle pratiche agricole, che portano alla realizzazione del prodotto, con una maggiore attenzione all’ambiente e al benessere animale.
• tracciabilità totale di filiera
• ridotto raggio di sviluppo della filiera (90 km)
• elevati standard igienico-sanitari
• alto livello del benessere animale

Qualità
I requisiti che garantiscono caratteristiche qualitative del prodotto finale superiori agli standard merceologici.

Ambiente
Pratiche produttive che determinano un miglioramento del territorio di produzione o una riduzione dell’impatto produttivo totale, a vantaggio dell’intero ecosistema.

Vediamo come si sviluppano questi elementi relativamente ai singoli settori di produzione.

• La Trota Iridea e il Salmerino
Agricoltura
- elevato benessere animale dato da una bassa densità dei pesci in allevamento
- dieta bilanciata e non forzata per uno sviluppo armonico dell’animale
Qualità
- carni magre e compatte, con grassi di elevata qualità nutrizionale
- forma affusolata del pesce indice di una costante attività motoria dell’animale
Ambiente
- elevata qualità delle acque, in entrata e in uscita dalle vasche di allevamento
- controllo dell’intero ciclo produttivo, per ottenere un pesce più sano

• Asparago
Agricoltura
- scelta dei terreni più adatti alla coltivazione dell’asparago
- tecniche agronomiche rispettose dell’ambiente: largo uso di fertilizzanti organici, utilizzo dei metodi di lotta integrata
Qualità
- sono ammessi alla certificazione solo gli asparagi delle categorie commerciali “extra” e “prima”
Ambiente
- ridotto raggio di sviluppo della filiera

Mela e derivati
Agricoltura
- scelta dei terreni più vocati, inerbimento tra le file, densità di piante idonea a raggiungere un maggiore equilibrio tra la pianta e l’ambiente circostante, utilizzo di varietà certificate, resistenti alle principali malattie e possibile impiego di varietà autoctone
Qualità
- solo mele di categoria “extra” e “prima”, adeguate tecniche di conservazione in post raccolta
Ambiente
ridotto raggio della filiera, rispetto dei dettami della lotta integrata, scelta di varietà adatte all’ambiente di coltivazione

Carne suina
Agricoltura
- attenzione al benessere animale, precise prescrizioni alimentari, severe regole di reperimento del mangime
Qualità
- scelta di razze specializzate per la produzione di carni mature e succulente, adeguata età di macellazione, ottime caratteristiche organolettiche
della carne
Ambiente
- ridotto raggio della filiera, maggiore attenzione nella gestione dei reflui di allevamento

Latte crudo vaccino e derivati
Agricoltura
- attenzione al benessere animale, precise prescrizioni alimentari, severe regole di reperimento dei foraggi
Qualità
- parametri qualitativi del latte al di sopra degli standard merceologici, a garanzia di trasformati di eccellenza
Ambiente
- ridotto raggio della filiera, maggiore attenzione nella gestione dei reflui di allevamento

Brochure marchio AQuA