Gli autoctoni vincono la sfida della globalizzazione

Il biologo Edward O. Wilson in “La diversità della vita”, sostiene che “Ogni nazione ha tre patrimoni diversi: quello materiale, quello culturale e quello biologico... Insieme alla ricchezza materiale e alla ricchezza culturale, la diversità biologica è una delle forme in cui si manifesta la ricchezza del nostro pianeta.” L’Italia nel suo piccolo vanta il

Il biologo Edward O. Wilson in “La diversità della vita”, sostiene che “Ogni nazione ha tre patrimoni diversi: quello materiale, quello culturale e quello biologico... Insieme alla ricchezza materiale e alla ricchezza culturale, la diversità biologica è una delle forme in cui si manifesta la ricchezza del nostro pianeta.”

L’Italia nel suo piccolo vanta il più ricco mosaico planetario di uve con circa 1.500 varietà conosciute, 350 delle quali iscritte nel registro delle varietà utilizzate nella produzione del vino. Vino che interpreta il territorio con una valenza di unicità, di diversità e di rarità che oggi i mercati internazionali stanno privilegiando, attribuendo all’Italia un primato assoluto per qualità e per indice di gradimento dei vini esportati. Infatti i mercati, soprattutto quelli internazionali, mostrano una crescente attenzione per i vini che presentano personalità e caratteristiche uniche, che sono appunto le prerogative che permettono ai vini autoctoni italiani di emergere da un panorama piuttosto piatto, in cui i prodotti tendono ad assomigliarsi l’uno all’altro, pur provenendo da paesi diversi.

Il successo riservato ai vini autoctoni italiani non sta solo nella capacità dimostrata in questi anni dai vignaioli italiani nell’elevare qualitativamente le loro produzioni, ma nell’aver valorizzato quegli aspetti immateriali del vino che con esso tuttavia interagiscono e possono essere propedeutici, se fanno sistema, nella promozione di un territorio.

Molto è stato fatto in questo senso, ma non ancora in modo sufficiente. Infatti se al territorio si unisce l’utilizzo di varietà che sono nate e si sono evolute insieme agli uomini che lì le hanno coltivate per secoli; se alla tecnica si unisce la storia e alla storia si affianca un marketing capace di valorizzarla, il risultato non potrà che essere ancor più lusighiero. Proprio per questo le tecniche di promozione e di vendita non possono prescindere dal vincolo che il vino, soprattutto quello italiano, ha con il territorio e la sua storia. La possibilità di associare il vino ad un territorio, alla cultura gastronomica, alla bellezza dei paesaggi e dei reperti archeologici e architettonici, alla gente che nel territorio ci lavora è un elemento che arricchisce la qualità percepita del vino stesso. Questo succede in Italia e succede in Istria.Se dunque il vino è un veicolo importante per diffondere la cultura dei luoghi, di riflesso l’azione promozionale ispirata a dare sistematicità sinergica ai vari elementi di cui si compone la cultura di un dato territorio aumenta il grado di preferenza e di fedeltà dei consumatori verso il vino stesso. Infatti è confermato da molte recenti indagini che, se al momento dell’assaggio la mente recupera conoscenze o emozioni che il paesaggio ha saputo suscitare, sicuramente quel vino avrà un grado di preferenza maggiore di quello di cui non sono note le origini.

Claude Levi Strauss amava dire “... a buon pensare, buon mangiare...”, alludendo alla migliore predisposizione ad esprimere un giudizio positivo, quando il consumatore ha in mente i luoghi da cui trae origine un prodotto e, nel caso specifico, il vino che è nel bicchiere. Vinibuoni d’Italia da oltre dieci anni promuove quest’idea e da questa pagina lancia un appello anche alla ristorazione che dichiara di identificarsi con la cultura gastronomica della tradizione e del territorio.         Se da un lato le aziende vinicole hanno fatto passi da gigante, molto è ancora da fare nella ristorazione che si ispira al territorio, parola che non deve essere abusata o usata in modo improprio. “I ristoratori hanno la responsabilità di creare una continuità tra cucina e territorio in cui operano;  una continuità di saperi che non significa inibire creatività e innovazione, bensì operare in stretto rapporto con gli artigiani locali del gusto, con chi presidia e valorizza le risorse locali, tra cui, in primo luogo i vini. E’ questo il modo cocreto e non di facciata per  implementare  il legame ristoratore-produttore portandolo in modo chiaro e costruttivo sulla tavola al cliente.

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